TEMPO SOSPESO E TEMPO LIMITE

Il periodo nel quale ci troviamo a vivere è come un epoca sospesa; poche certezze, precarietà relazionale e continue minacce alla salute.

La pandemia Covid 19 ha colpito il mondo intero, nei casi peggiori direttamente riscontrando una positività al virus e negli altri piuttosto come un sentimento di preoccupazione costante che spesso è sfociata in stati ansiosi e depressivi ma anche in palesi gesti di disinteresse (per esasperazione) o addirittura in rabbia.

Questa vicenda entrerà sicuramente nei libri di storia anche se la valutazione che noi stessi daremo assieme ai posteri è ancora tutta da definire.

Attualmente, a pandemia in corso e in attesa di una probabile seconda ondata, ci si sente ancor più in uno stato di stallo esistenziale.

Chi deve cambiare qualcosa nella propria vita, qualsiasi cosa anche piccola, oggi aspetta.

Dall’automobile alla casa, dal lavoro fino agli interessi e il relax. Tutti aspettano, pochi intraprendono qualcosa di nuovo, anche perché di fatto è vietato o fortemente sconsigliato.

Nel frattempo notiamo anche i limiti della società dell’informazione: tante notizie e approfondimenti soggettivi e contraddittori tra loro sono diventati il nostro pane quotidiano. C’è chi addirittura si arrende e sceglie di non seguire più lo svilupparsi della vicenda.

C’è chi nega e chi vede complotti internazionali. C’è chi offre tempi quasi certi e speranza di soluzione e chi continua a sottolineare le mancanze del sistema. C’è chi piange un proprio caro morto a causa o con il Covid 19 e chi fa gesti plateali, organizzando persino feste ad hoc.

C’è il lavoratore in smart working e lo studente che perde la dinamica relazionale della scuola; ci sono poi le persone più avanti con gli anni che si trovano a sentirsi dire che sono deboli, più sensibili, anche se la loro salute è perfetta.

C’è chi vive in aree densamente abitate per cui il rischio di contagio è davvero alto e chi invece, nei piccoli paesi, si sente ancor più isolato di prima ma forse più protetto.

C’è chi misura quanto tempo potenzialmente il virus resiste sulle superfici e chi riutilizza troppe volte la stessa mascherina.

C’è chi scopre nuovi inimicizie (il vicino di casa rumoroso) e chi sente la mancanza dei propri cari che magari, essendo degenti in una RSA, non possono più avere quel minimo di relazione che già prima sembrava magari insufficiente.

Potrei continuare anche raccontando anche cose ironiche, ma il punto è: di tutta questa storia, di questo tempo assurdo e sospeso, cosa ne facciamo ora?

Martin Heidegger sottolineava come esistessero due modi per affrontare la vita: uno inautentico e l’altro autentico.

Quello inautentico è segnato dalla leggerezza, dal vivere alla giornata, dall’ovvietà, dal consumo delle cose del mondo, dal chiacchiericcio costante mentre quello autentico punta all’essenzialità del pensiero, alla meraviglia per il fatto che l’essere è e non può non essere.

La strada autentica si trova a dover affrontare le situazioni al limite e, in virtù di quest’esperienza, farsi coinvolgere da un esistenza più radicata, più saggia e quindi più degna e sensata.

Questa sensatezza ricercata e ritrovata trasforma il tempo sospeso in un tempo al limite capace di spingere la mente ed il cuore a profondità forse nuove.

DISTANZIAMENTO: DAL PROSSIMO AL PROSSIMALE

Distanziamento: dal prossimo al prossimale

Ormai conosciamo tutti cosa significhi il distanziamento; l’esperienza del Covid-19 ci ha fatto percepire, tra le varie, la portata esistenziale dello “stare lontani.”

In realtà questa è un’esperienza che purtroppo molte persone avevano già vissuto a causa di alcune patologie, sia di carattere mentale che fisico.

Oggi invece tutti la conoscono.

Distanziamento significa sia il doversi allontanare, mantenendo alcuni metri di distanza dall’altro, ma anche e specialmente dover iniziare a considerare l’altro come un potenziale pericolo per la propria salute.

Tornano così alla memoria le drammatiche parole  di E. Lévinas: “Il volto è ciò che non sì può uccidere o, almeno, ciò il cui senso consiste nel dire «tu non ucciderai» […] Il «tu non ucciderai» è la prima parola del volto, e si tratta di un ordine. Nell’apparizione del volto si trova un comandamento, come se mi parlasse un maestro. Nello stesso tempo, tuttavia, il volto di altri è spoglio: è il povero per il quale io posso tutto e al quale devo tutto.”

In questi giorni guardiamo all’altro e diciamo a noi stessi e a lui “tu non ucciderai” perché in noi abita qualcosa di prezioso: la vita.

La minaccia, il pericolo derivante dall’incontro, prima del distanziamento era un fenomeno raramente vissuto dalle persone e accadeva solo in situazioni limite; oggi invece la si percepisce in noi e nello sguardo dell’altro.

Ciascuno, inconsapevolmente e incolpevolmente, diventa in potenza “homo homini lupus ” (uomo  lupo per l’uomo), citando Thomas Hobbes.

La stessa comunicazione è andata poi invertendosi: oggi la gestualità della vicinanza, dell’affetto, della cura è paradossalmente il suo opposto. “Vuoi bene a qualcuno? Ti interessa incontrare e mostrare benevolenza?” – ci dicono- “ Bene! Stagli distante, non toccarlo e non respirare la sua aria!”

L’affetto si dimostra allontanandosi; peccato che la nostra struttura psicofisica sia fatta per l’esatto opposto.

Sono tornati in auge così dei surrogati relazionali come la virtualità, le videochiamate e le conference call ma è evidente che queste non hanno ancora la capacità di sostituirsi alla realtà effettiva e concreta, per quanto siano utili e necessarie. Ne percepiamo infatti il limite strutturale. L’altro  è presenza nello spazio, è movimento, energia toccata e profumo percepito. La presenza dell’altro non può accontentarsi solo della vista e dell’udito..

E’ quindi un momento assolutamente particolare. Ovviamente ci sono molte buone ragioni per essere a disagio, anche per il limite di spazio vitale disponibile, eppure vediamo come ad una essere posto in dubbio per molti non sono solo le cose pratiche della vita, che sono in questo tempo limitate, ma piuttosto parti della propria identità.

La nostra identità, ovvero chi diciamo di essere, si crea e si modifica lungo tutto l’arco della vita, pur con intensità diverse, proprio a causa dalla relazione con gli altri, inoltre è mediamente dinamica, si adatta e cambia, pur mantenendo delle costanti fondamentali, secondo le circostanze vissute, per esempio a casa non siamo gli stessi che al lavoro.

Per dirla sinteticamente non esiste l’Io senza il Noi.

Solo che il Noi ì“Il prossimo” oggi è diventato “Prossimale”, ovvero un qualcuno più pensato  che incontrato, più progettato per il futuro piuttosto che un individuo con il quale si condivide il presente.

Limitare la disponibilità relazionale ha quindi inevitabilmente delle ricadute sulla nostra identità, talvolta anche patologiche innescando così smarrimento, ansia, depressioni, dipendenze, crisi coniugali ed esistenziali.

E’ così, oltre magari alla noia o alla preoccupazione per il lavoro, in molti si trovano bloccati con sé stessi. E non è detto che sia una bella compagnia perché in assenza del Noi è comunque non completa..

J. P. Sartre diceva: “ Se sei triste quando sei da solo, probabilmente sei in cattiva compagnia”.

Dicevamo che l’Io non esiste pienamente senza il Noi e che per sua natura è dinamico.

Oggi invece ci dobbiamo accontentare di un Io maggiormente statico, che trae beneficio dal percorso di vita  sin qui fatto e che può nutrirsi principalmente solo di quello che è già stato.

Se abitare sé stessi oggi  è fonte di disagio significa che ciò che avevamo acquisito di noi prima del distanziamento era per certi versi limitato, incompleto se non addirittura falso.

Per questo, già da ora, è scoccato il tempo della verità. La verità di chi siamo s’impone, non ci sono fughe anestetizzanti. Ci siamo noi. L’atteggiamento di chi continua a proiettarsi oltre il distanziamento ( anche se è legittima la speranza della normalità, ovviamente) può produrre frustrazione ma anche curiosità.

Nella vita ordinaria, essendo l’Io molto dinamico, alcuni suoi aspetti, sia luminosi che tenebrosi, possono essere mascherati, correre via senza essere visti. La staticità di questi giorni ,unita alla curiosità, ci prepara allo stupore della scoperta che può permettere di ampliare la conoscenza che abbiamo di noi stessi.Così questo non sarà stato solo un tempo sospeso e passivo ma anche creativo e fondativo.