Ci sono eventi nella vita, sia come individui che come collettività, che portano nel soggetto che li vive (o subisce) una domanda di significato.
“Che senso ha quello sto vivendo?”
Intuiamo in effetti che il dubbio, la privazione, il limite e anche il dolore possono assumere delle sfumature nuove se acquisiscono un senso.
Lo abbiamo imparato fin da piccoli: ci sono delle sofferenze che aiutano e anche se lì per lì nessuno vorrebbe viverle poi di fatto servono per la crescita personale.
Infatti i rifiuti che abbiamo subito, anche ingiustamente, ci hanno fatto capire la realtà.
Le ferite ci insegnano infatti a prenderci cura di noi e ad evitare i pericoli, diventando poi anche delle feritoie su cui interpretare la vita.
E poi i grandi della storia che hanno consegnato sé stessi per una causa superiore sono quegli esempi che giustamente ci sono stati messi davanti per farci capire una delle leggi implicite della vita, quella della sottrazione: talvolta occorre rimandare il piacere ed il proprio interesse immediato per progredire. Occorre togliere, resistere, stringere i denti e anche sentire la mancanza.
Ma, malgrado la nostra stessa esperienza e gli esempi che sono fonte d’ispirazione, tutto questo sembra non bastare sempre per non scoraggiarsi nelle avversità.
L’esistenza di ciascuno riserva luoghi ignoti, sorprendenti ed imprevedibili, nei quali la “legge del progresso per sottrazione” non solo non si presenta come indiscutibimente consolatoria ma, nel pieno del perturbante, sembra essere non più cosi sicura.
Certamente di grande aiuto possono essere le convinzioni circa il senso del vivere maturate precedentemente, sia di ordine filosofico che di carattere teologico; ma se queste non sono radicate su una personalità sufficientemente definita possono essere percepite, proprio nel momento in cui sono più necessarie, come false, ingiuste e ingannevoli. E così nascono, tra le varie reazioni possibili, anche degli stati depressivi, ansiosi, distruttivi e cinici.
Ovviamente ciascuno elabora liberamente -si spera!- i propri orientamenti esistenziali, anche a seguito della sintesi del vissuto in ordine sia del pensiero che dell’azione, ma per potersi sentire su una base sicura, capace effettivamente di dare senso al vissuto di privazione in atto, occorre compiere un cammino interiore di autenticità.
E’ il passaggio di consapevolezza dall’Io al Sé. L’Io può essere Falso, frutto di un economia interiore orientata all’adattamento all’ambiente e alle persone rilevanti da esso popolato. Ed è inevitabile.
Un bambino inizierà fin da subito a cercare di capire il luogo dove vive, d’interpretarlo, di trovare un posto nel mondo, d’interiorizzarne i valori e crescendo questo processo sarà sempre più sofisticato fino all’età adulta e così sorgerà l’Io. L’Io riceverà rinforzi continui dall’ambiente e si assumeranno vari ruoli in società coerenti con l’Io che con tanta fatica si è costruito
Ci si adatta quindi, magari credendo per davvero alle suggestioni e ai convincimenti ricevuti; ma se questi si radicano nell’Io e non nel Sé possono essere ininfluenti quando le necessità d’adattamento vengono superate e le condizioni d’ingaggio alla vita cambiano.
Tutto questo accade con maggior intensità se il presente altresì offre delle criticità da affrontare per le quali ci si chiede il senso. Ciò che l’Io ha appreso e che prima dava un qualche tipo di orientamento sembra non servire momentaneamente più a nulla.
E così si può correre nella posizione di pensiero opposta ma che, se ancora una volta viene radicata sull’Io, si rivela presto altrettanto inefficace. Oppure si può trovare rifugio nell’alienazione iniziando ad abusare delle cose del mondo, sia lecite che illecite, illudendo e/o stordendo sé stessi e vivendo, di fatto, in fuga.
Sono scelte di reazione alla desolazione interiore dell’Io, continuamente riempita da palliativi talvolta così raffinati da nascondere alla stessa persona interessata il vuoto esistenziale che l’avvolge. Questo nihil potrebbe essere non percepibile in sé anche per lungo tempo ma lo si vede comunque riflesso negli occhi di chi ci guarda, talvolta come condivisione dell’oscurità e altre come muto allontanamento per timore del precipizio.
Il Sè al contrario è una dimensione di totalità, pur sempre in divenire. E’ germinante, colorato e rasserenante. Stabile ma non immobile. Impetuoso e creativo ma rasserenato. Raggiungibile sempre a partire dalla demolizione del Falso Io.
Il Sè è la conditio per trovare una risposta adeguata e di senso nelle avversità ed è raggiungibile, anche senza essere mai del tutto afferrabile.
Mentre l’Io viene percepito come un monolite il Sè è più un fiume.
L’Io può essere una maschera figlia dell’adattamento che rende la vita, ben che vada, tiepida, il Sè appare come risolto e risoluto..
E a quel punto, se le necessità della vita dovessero imporre ancora la “Legge del progresso per sottrazione” questa diventerebbe allora più sopportabile e accettabile proprio perché la base su cui potrà poggiare sarà più solida e autentica.